Donne in vetta, leggenda perfetta

di Serena Berardi - Illustrazioni grafiche di Michele Pittalis

Nel primo posto in cui andai a lavorare avevo una vicina di scrivania in procinto di fare un importante scatto di carriera. Dopo la promozione, i solerti colleghi mi svelarono il motivo dell’avanzamento attraverso un’approfondita analisi del work-life balance: «È una zitella gattara, sta tutto il giorno in ufficio. Presto farà morire di stenti pure il gatto».

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Scaduto il contratto, cambiai azienda e approdai in una struttura diretta da una donna. Appena arrivata i colleghi si premunirono di ragguagliarmi sui dettagli della sua crescita professionale. A sentir loro aveva scalato l’organigramma aziendale grazie alla generosa concessione del suo corpo. I più diplomatici le attribuivano seduzioni strategiche e mirate, le lingue più affilate la dipingevano come la Messalina dell’open space. Le prove del resto erano inconfutabili e sotto gli occhi di tutti, come mi fece notare un collaboratore dalle spiccate doti deduttive: «Indossa solo gonne corte, si mette il rossetto e va sempre a pranzo con uomini».

seconda parte testo_officebowl-DEF (1)-page-001 2.jpg

Il mio pellegrinaggio lavorativo mi portò poi in una società con una donna nel consiglio di amministrazione. I dipendenti erano unanimi nel riconoscere la sua determinazione, ma le recriminavano una spregiudicatezza stile Jordan Belfort di Wolf of Wall Street e un cannibalismo lavorativo alla Hannibal Lecter: «Per arrivare dove è arrivata si è comportata peggio di un uomo, spietata e competitiva. Se potesse, porterebbe una betoniera in ufficio e asfalterebbe tutti con una colata di cemento». Non avendola mai conosciuta, per mesi cercai d’individuare nei corridoi una figura simile a un gerarca nazista. Rimasi quasi delusa quando capii che era l’affabile signora con cui avevo chiacchierato un paio di volte al bar. Non aveva mai neppure versato un po’ di cianuro nel caffè del vicino al posto dello zucchero di canna.

terza parte testo_carrarmato-DEF-page-001.jpg

La mia instabilità professionale terminò in una ditta in cui eravamo solo due donne: io e la segretaria. E di lei parlavano tutti bene. Fin quando non si mise in testa di fare carriera.