L’insostenibile pesantezza dell’essere parte I: le discriminazioni sul lavoro
di Serena Barbato
“È `compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.” Art 3 della costituzione Italiana
“Le faremo sapere”,” mi dispiace il posto è già stato occupato”, “cos’è uno scherzo della tv “, mi dispiace ma lavoriamo a stretto contatto con la nostra clientela e l’immagine per noi conta molto”. Queste sono solo alcune delle risposte più “educate” raccolte dalle varie testimonianze rilasciate da alcune persone T(in transizione) alla mia domanda, sulla loro situazione lavorativa.
In altri casi la discriminazione è meno sottile, meno celata, e si palesa solo a seguito della visione di un documento non ancora aggiornato che non rispetta né rispecchia quella scelta di autodeterminazione, quella lotta quotidiana portata avanti solo con la propria esistenza. F.L. un ragazzo ftm mi racconta:
“Ho fatto due colloqui di lavoro ultimamente, ho fatto il cv al maschile sotto consiglio della psicologa ed è andato tutto bene fino al momento in cui ho dovuto tirare fuori i documenti… Alla fine non ho ottenuto nessuno dei due lavori a causa del mio nome anagrafico”.
Oppure citando un episodio dal libro dell’attivista Monica Romano:
“La ragazza dell’agenzia di lavoro interinale aveva capito che ero una ragazza XY, le era bastato osservarmi per capire di me, Questa volta non erano stati documenti a fine colloquio a svelare la mia storia, ma al mio aspetto e un occhio attento. Ibidem.. Tenendo il mio curriculum tra le mani, l’addetta allo screening delle risorse umane non faceva nulla per celare il suo disinteresse verso le mie risposte,… Aveva già deciso che non avrebbe mai proposto la mia candidatura ad alcun datore di lavoro. Se un mio coetaneo non transgender doveva sostenere 10 colloqui per trovare un lavoro, se una mia coetanea non transgender avrebbe invece dovuto sostenere venti nella stessa posizione, io avrei dovuto fare almeno 50 colloqui, sopportando il sorriso beffardo e l’atteggiamento di sufficienza di questa e di altre 49 selezionatrice“1
Storie di ordinaria discriminazione, che quotidianamente colpisce nell’invisibilità generale, quella fetta di mondo che non si conforma, che, con la sola esistenza mette in discussione il concetto fisso di binarietà di genere. Nell’immaginario collettivo le persone T sono confinate nel mondo della prostituzione, relegate in quel mondo notturno che le vuole invisibili, indifendibili, passatempi erotici per persone annoiate.
Facendo riferimento a dati più concreti, raccolti attraverso un sondaggio su un gruppo nazionale di persone in transizione, è risultato che il 60% ha perso o non riesce a trovare lavoro a causa di discriminazioni collegate al proprio percorso di vita. Una percentuale non poco rilevante ha ammesso di nascondere il proprio percorso per non rischiar di perdere il lavoro che hanno “conquistato”.
Non basta quindi una discriminazione ed un isolamento sociale che pesa come un macigno sulla quotidianità, né la difficoltà stessa per poter accedere a quel percorso che per tante persone significherebbe vivere con più serenità la propria esistenza ( il percorso ha dei costi economici e personali non indifferenti), a tutto questo si è deciso di aggiungere un emarginazione ed un tentativo molto spesso assecondato dalla morale comune di espellere dal mondo del lavoro diurno senza diritto né di replica né di difesa.
Ovviamente la discriminazione nel mondo del lavoro è solo una “parentesi”, una delle tante lotte che le persone T devono affrontare nel loro quotidiano.
C’è la scuola, la famiglia, l’interfacciarsi giornalmente con il resto della popolazione. Ma quelle sono altre storie, altre facce della stessa medaglia, tutte però segnate da quei luoghi comuni, frutto di una stigmatizzazione con cui i media nazionali senza alcun problema ne rimorso raccontano un mondo di cui non sanno né vogliono conoscere altro, se non quella spettacolarizzazione utile a creare nuovi “soggetti” contro cui puntare il dito.